sabato 4 aprile 2009

Come avevamo già segnalato, in questi giorni si sta tenendo a Perugia il Festival del giornalismo. Alcune riflessioni degli articoli di La Repubblica (sezione Spettacolo e Cultura) possono essere interessanti! Ne segnaliamo uno in particolare che riporta la critica dei blog di Sergio Romano, a cui ne sono però correlati altrettanti. Link alla "lectio" di Romano: "I blog non sono il futuro dell'informazione"New media a confronto: "Il domani è nell'integrazione fra carta e web".


Ma allora da dove deriva il guadagno della sharing economy? (link alla traduzione italiana dell’articolo di Kevin Kelly)

Se tutto è condivisibile e gratuito, sorge spontanea la domanda: qual è la fonte di guadagno dei media sociali? La risposta di Kevin Kelly (link) risiede nel fatto che solo ciò che rimane non copiabile resta "vendibile" e dunque prezioso. Egli afferma che ad esempio la fiducia non si può copiare né comprare, bisogna guadagnarsela con il tempo. Non si può ancora, almeno per il momento, scaricare da internet o falsificare. Le sue considerazioni non terminano qui.

[...] Ci sono altri valori difficili da copiare, e quindi preziosi. Il modo migliore di esaminarli è partire non dal punto di vista del produttore, del costruttore o dell'autore, ma da quello dell'utente. Cominciamo con una semplice domanda: perché dovremmo pagare per qualcosa che possiamo avere gratis? [...]

Kelly individua otto categorie di valori non copiabili detti "generativi": si tratta di qualità che vanno generate, fatte crescere e coltivate.

1. Immediatezza: termine “relativo” che deve adattarsi sia al prodotto, sia al pubblico.

2. Personalizzazione: carattere che richiede uno scambio continuo tra autore e consumatore, tra erogatore e fruitore di un servizio

3. Interpretazione: oggi, nell'era dell'infobulimia, ciò che conta non sono più i contenuti diventati molto più facilmente accessibili, ma, la competenza relativa alla loro giusta interpretazione e al loro migliore utilizzo.

4. Autenticità: la copia, perde di valore proprio in quanto tale, proprio perchè non è l’originale

5. Accessibilità: la copia può non essere sempre o per sempre accessibile e dunque fruibile

6. Corporeità: qualsiasi copia digitale è incorporea, non permette le stesse emozioni e sensazioni garantite dall’originale

7. Mecenatismo: gli utenti sono disposti a pagare una cifra ragionevole indirizzata ai produttori del bene di cui fruiscono. Si tratta di rafforzare il legame produttore-fruitore evitando gli intermediari

8. Reperibilità: i grandi aggregatori come Amazon e Netflix hanno successo perché aiutano le persone a trovare quello che gli piace di più sfruttando la teoria della "coda lunga" che mette in contatto il pubblico di nicchia con gli autori di nicchia, inserendo entrambi in un sistema complesso.

Secondo Kelly questi otto valori richiedono nuove competenze, non relative alla distribuzione realizzata attraverso la "grande fotocopiatrice", ma piuttosto la consapevolezza che l'abbondanza alimenta la condivisione, che la generosità è un modello di business e che oggi è fondamentale coltivare e far crescere tutto ciò che non si può replicare con un clic. Il denaro, nell'economia della rete, afferma Kelly, non segue la strada della copia, ma quella dell'attenzione ai circuiti, dove la pubblicità non è l’unico modo x ottenere servizi gratuitamente.

Ilaria Maria Di Battista

mercoledì 25 marzo 2009

Mi pare interessante interrogarsi su quale sia il rapporto tra due sistemi differenti che si perturbano e influenzano a vicenda: i mass media (sociali e tradizionali) e il sistema economico. Riporto dunque un articolo in merito, che offre alcuni spunti di riflessione.

Oggetti gratuiti (link all'articolo di riferimento)

Il nostro senso della proprietà è curioso. Se compriamo un libro in pdf, pensiamo che quel libro ci appartenga. Se invece lo scarichiamo gratuitamente non abbiamo l'impressione che sia nostro. Possedere una copia sembra meno importante che comprarla, per questo le cose gratuite non ci fanno sentire veramente proprietari. I regali invece, che per chi li riceve sono gratuiti, aumentano il nostro senso della proprietà perché li valutiamo in base al "costo di sostituzione", cioè a quanto ci costerebbe comprarli. Se un prodotto ha un valore di mercato pari a zero non abbiamo l'impressione che ci appartenga. Quindi, più l'economia gravita intorno al concetto di gratuità, meno forte è la percezione del possesso. Condividere è un po' come affittare. Potremmo dire che la sharing economy, l'economia della condivisione che sta emergendo dai social media, è un'economia dell'affitto. Per guardare un film alla pay tv in realtà dobbiamo noleggiarlo.Non ne diventiamo proprietari ma paghiamo per prenderlo in prestito. Però non ci sembra un affitto perché non c'è uno scambio tangibile di beni come succede con l'affitto di un dvd. Ma quando la nostra videoteca ci farà scaricare i film in formato digitale sarà pur sempre un affitto.Con i prodotti digitali non diciamo "affitto" perché associamo questa parola agli oggetti e non ai servizi. Affittiamo uno smoking, non un servizio internet. Ma affittare significa condividere il costo della proprietà con un gruppo. La proprietà legale è della società che offre qualcosa a noleggio, ma la proprietà effettiva (la proprietà d'uso) è nelle mani del gruppo che paga per usare un bene o un servizio.

I media sociali permettendo la sharing economy stanno mettendo in crisi l'economia dei media tradizionali che necessitano di trovare altre possibili strade al raggiungimento dei loro profitti. Ecco il "nuovo" tentativo della TV: il televoto.

E’ il fenomeno del momento, quello che fa la differenza tra i programmi di successo e quelli che ne hanno di meno, è l'ultima frontiera della partecipazione, lo strumento della democrazia televisiva, il superamento del telecomando. Dopo anni di tentativi siamo entrati definitivamente nell'era del televoto. I numeri parlano chiaro: sabato scorso, in occasione della finale di Ballando con le stelle, il programma condotto da Milly Carlucci su RaiUno, sono arrivati oltre un milione di voti per attribuire la vittoria a Emanuele Filiberto di Savoia nella gara fra ballerini […]. Per una lettura integrale del precedente articolo di La Repubblica fare riferimento al seguente link

Sebbene alcuni parlino del tentativo di favorire una maggiore partecipazione dell'audience al media tradizionale, in realtà quest'aurea di democraticità nasconde il tentativo di raggiungere profitti necessari al sostentamento dei canali televisivi. Quindi non facciamoci abbagliare dai falsi valori ostentati, ma cerchiamo sempre di individuare cosa c’è alla radice dei fenomeni che analizziamo!!!



Infine sempre in merito a questo tema mi sembrano interessanti alcune considerazioni dell'articolo di E. Berselli, Democrazia elettronica, un falso mito

Ilaria Maria Di Battista



lunedì 23 marzo 2009

Intervista a Luca Valente

Riportiamo in versione integrale l'intervista rilasciata da Luca Valente.

1)Quanto tempo fa hai deciso di aprire un blog e di occuparti di questi temi?

Mediterranei ha quasi un anno ma la mia passione per internet e la comunicazione su web risale già ai tempi del mio primo Pentium. Nel privato, come negli studi o sul web, mi occupo di questi temi da tempo cercando di diffondere una “sana” cultura della rete che sappia contrapporre la competenza ai facili allarmismi che arrivano da media tradizionali o professionisti “incompetenti”.

2)Credi che la comunicazione digitale offra nuove prospettive alla futura generazione di giornalisti?

La comunicazione digitale non offre prospettive, è l’unica prospettiva possibile. Come ricorda Luca De Biase in un intervento di pochi giorni fa, il giornalismo non è la carta stampata, come si vuole far credere, e il suo destino non è legato a quello dei giornali. Internet è un supporto completo, in grado di veicolare l’informazione oltre ad offrire gli strumenti necessari per verificarne l’attendibilità e la veridicità. I lettori oggi sono più smaliziati e competenti. Leggono, confrontano, verificano le fonti in rete, discutono tra di loro, vogliono partecipare alla conversazione. La consultazione delle notizie diventa più selettiva e competente. L’informazione non può che trarne giovamento a patto che gli operatori di settore ne comprendano le potenzialità e sappiano stare al gioco.

3)Cosa pensi del fenomeno Facebook e della grande fortuna che stanno avendo i social network in genere, in questo momento?

I social network sono degli strumenti. Niente di più. La tecnologia non modifica la natura umana, semmai ne amplifica le potenzialità. Facebook ha realizzato in maniera esponenziale una necessità umana, la socialità. Se fino a ieri le possibilità comunicative erano legate alla presenza fisica, oggi possiamo conoscere nuove persone, possiamo interagire, condividere sentimenti o esperienze anche attraverso un computer. I social network online sono in fondo l’evoluzione tecnica di sistemi con cui le persone da sempre hanno cercato di mettersi in contatto o esporre la propria identità in modo più o meno filtrato, dal telefono, alle chat, ai forum.


4)Quali credi che siano i fattori principali che consentono un digital divide così forte?

L’assenza di infrastrutture è la causa principale dell’esclusione dall’accesso alla rete. La copertura del territorio dovrebbe rappresentare la condizione essenziale dalla quale partire per analizzare il problema anche da un punto di vista sociale o economico. E’ una questione di possibilità da realizzare e da garantire a chiunque. Se non si da una pallone ad un bambino non si può pretendere che possa giocare a calcio.

A cura di Corinne Cleri
NEW MEDIA AL FESTIVAL DEL GIORNALISMO

Vorrei segnalare a tutti i lettori del nostro blog che dal 1 al 5 Aprile a Perugia si terrà il Festival internazionale del giornalismo che quest'anno ha dedicato un'intera sezione ai new media e alle nuove forntiere dell informazione. Ogni giorno si confronteranno blogger, esperti di new media e giornalisti. Per saperne di più rimando al seguente link Festival e New media

domenica 22 marzo 2009

COMMENTO A: MEDIA SOCIALI O STRUMENTI DI CONTROLLO “CONDIVISI


L’articolo di Luca Valente affronta il problema della privacy legato in particolare all’utilizzo di
social networks e di widget come Social Feet. Senz’altro si tratta di una preoccupazione giustamente condivisa, ma se ci riflettiamo un attimo secondo me siamo di fronte ad una contraddizione. La forte adesione ai media sociali è infatti mossa principalmente dal bisogno/desiderio dell’esposizione del se. Nonostante l'esistenza di altre motivazioni il primo stimolo ad iscriversi ad un social network è senz'altro lui, il vecchio e sano esibizionismo.

Personalmente non trovo nulla di male in esso, anzi secondo me è anche una forte necessità del nostro tempo. Con la perdita della comunità si è infatti venuta a creare sul piano delle relazioni interpersonali una dimensione molto dispersiva.
Oggi la contingenza ci offre la possibilità di conoscere un numero pressochè infinito di persone, con le quali però manteniamo, nella maggior parte dei casi, relazioni di tipo superficiale.
Tutto ciò in contrapposizione con quanto solitamente avveniva all’interno della dimensione comunitaria, in cui il range di possibilità era limitato ai membri della comunità stessa, ma i rapporti che si venivano a creare tra questi ultimi erano inevitabilmente più stretti ed intimi. Ciò portava ad una diminuzione di quella che oggi chiamiamo privacy. Nel ventunesimo secolo di privacy ce n'è fin troppa e ciò ha influito sui rapporti umani. Forse stiamo sentendo il bisogno di ricreare una dimensione che sia più nostra, fatta di relazioni più intime. I nuovi social media possono essere una risposta a questo. E così nasce la necessità di mostrarsi, di farsi conoscere attraverso le foto o i video pubblicati su Facebook, attraverso i gruppi a cui si è deciso di partecipare, con lo scopo di farsi conoscere e di condividere il quotidiano con gli altri, qualcosa che spesso manca nella vita di tutti i giorni.
La contraddizione sta nel fatto che da una parte abbiamo chi ricerca una minore riservatezza attraverso l'iscrizione ai social networks e l'utilizo di tecnologie 2.0, dall'altra ivece, puntando il dito contro i media sociali, c'è chi porta avanti la propria crociata in nome della privacy perduta.
Secondo Luca Valente c’è una consapevolezza diversa nel nostro agire sulla rete rispetto all’agire fisico. In quest’ultimo caso infatti sembrerebbe che le scelte vengano fatte con maggiore consapevolezza grazie alla presenza di qualcosa che noi percepiamo come contesto. Su Internet invece “La scelta non si differenzia in base all’ambiente (il sito, il social network) ma viene ripetuta in maniera automatica ed indistinta, decontestualizzata e resa inconsapevole.”(Luca Valente)
Probabilmente è a causa di questa inconsapevolezza di fondo che spesso nascono situazioni imbarazzanti e problemi di riservatezza legati ad un utilizzo a volte improprio del web. La risposta più frequente a questo genere di episodi è la solita "demonizzazione"di Internet, descritto come un'incombente minaccia alla privacy.
Queste visioni apocalittiche non fanno che allontanare i già scettici e poco convinti allo sfruttamento delle opportunità che le nuove tecnologie ci offrono.
Voi cosa ne pensate? Vedete il web come un pericolo per la vostra riservatezza o piuttosto pensate sia ancora la poca consapevolezza del mezzo a provocare certi episodi spiacevoli?

D’Angeli Mara

venerdì 20 marzo 2009

FACEBOOK & CO.

Uno dei fenomeni digitali maggiormente dibattuti e conosciuti al momento è senz’altro facebook, riguardo al quale rimando all’articolo di Claudio Vaccaro “Facebook: social network o messaging 2.0? ”. In esso Vaccaro esplicita in maniera convincente quali siano i punti di forza e di debolezza di questa piattaforma sociale.
Personalmente, credo che facebook sia contemporaneamente una proiezione al futuro e un tentativo di recupero del passato. Si scorge, a mio parere, una volontà di fondo di recuperare una dimensione comunitaria alla quale affidare la propria identificazione (si pensi ai gruppi e alla condivisione di link “quelli che…”). Dimensione necessaria per una corretta formazione del sé, ma sempre più assente nella forma societaria contemporanea.
Un recupero del passato in prospettiva del futuro, però. Non si può infatti fare a meno di notare e di intuire quali siano le applicazioni odierne e quali potenzialmente saranno quelle future di facebook e dei social network in genere. Oltre che per mantenere contatti con chiunque si trovi in qualunque parte del mondo, i social media (tra cui anche Twitter o i blog) sono una fonte di informazione più diffusa, libera e democratica rispetto ai media tradizionali. Basti pensare all’importanza che hanno avuto fino ad ora nella striscia di Gaza per il passaggio di nozie sullo scontro fra Israele e Palestina (si veda il seguente link
0.2 » Il social media come fonte d’informazione a Gaza).
Ma anche restando in Italia, proprio sabato scorso un aggressore è stato identificato a Padova grazie a Facebook (vedi
l’articolo) . Facile che nasca da qui una polemica sulla difesa della privacy (non è un controsenso voler proteggere qualcosa che si è voluto condividere?).
Voi come la pensate? Vedete i social network come una minaccia o come un’opportunità?


Alba Angelucci