sabato 4 aprile 2009

Come avevamo già segnalato, in questi giorni si sta tenendo a Perugia il Festival del giornalismo. Alcune riflessioni degli articoli di La Repubblica (sezione Spettacolo e Cultura) possono essere interessanti! Ne segnaliamo uno in particolare che riporta la critica dei blog di Sergio Romano, a cui ne sono però correlati altrettanti. Link alla "lectio" di Romano: "I blog non sono il futuro dell'informazione"New media a confronto: "Il domani è nell'integrazione fra carta e web".


Ma allora da dove deriva il guadagno della sharing economy? (link alla traduzione italiana dell’articolo di Kevin Kelly)

Se tutto è condivisibile e gratuito, sorge spontanea la domanda: qual è la fonte di guadagno dei media sociali? La risposta di Kevin Kelly (link) risiede nel fatto che solo ciò che rimane non copiabile resta "vendibile" e dunque prezioso. Egli afferma che ad esempio la fiducia non si può copiare né comprare, bisogna guadagnarsela con il tempo. Non si può ancora, almeno per il momento, scaricare da internet o falsificare. Le sue considerazioni non terminano qui.

[...] Ci sono altri valori difficili da copiare, e quindi preziosi. Il modo migliore di esaminarli è partire non dal punto di vista del produttore, del costruttore o dell'autore, ma da quello dell'utente. Cominciamo con una semplice domanda: perché dovremmo pagare per qualcosa che possiamo avere gratis? [...]

Kelly individua otto categorie di valori non copiabili detti "generativi": si tratta di qualità che vanno generate, fatte crescere e coltivate.

1. Immediatezza: termine “relativo” che deve adattarsi sia al prodotto, sia al pubblico.

2. Personalizzazione: carattere che richiede uno scambio continuo tra autore e consumatore, tra erogatore e fruitore di un servizio

3. Interpretazione: oggi, nell'era dell'infobulimia, ciò che conta non sono più i contenuti diventati molto più facilmente accessibili, ma, la competenza relativa alla loro giusta interpretazione e al loro migliore utilizzo.

4. Autenticità: la copia, perde di valore proprio in quanto tale, proprio perchè non è l’originale

5. Accessibilità: la copia può non essere sempre o per sempre accessibile e dunque fruibile

6. Corporeità: qualsiasi copia digitale è incorporea, non permette le stesse emozioni e sensazioni garantite dall’originale

7. Mecenatismo: gli utenti sono disposti a pagare una cifra ragionevole indirizzata ai produttori del bene di cui fruiscono. Si tratta di rafforzare il legame produttore-fruitore evitando gli intermediari

8. Reperibilità: i grandi aggregatori come Amazon e Netflix hanno successo perché aiutano le persone a trovare quello che gli piace di più sfruttando la teoria della "coda lunga" che mette in contatto il pubblico di nicchia con gli autori di nicchia, inserendo entrambi in un sistema complesso.

Secondo Kelly questi otto valori richiedono nuove competenze, non relative alla distribuzione realizzata attraverso la "grande fotocopiatrice", ma piuttosto la consapevolezza che l'abbondanza alimenta la condivisione, che la generosità è un modello di business e che oggi è fondamentale coltivare e far crescere tutto ciò che non si può replicare con un clic. Il denaro, nell'economia della rete, afferma Kelly, non segue la strada della copia, ma quella dell'attenzione ai circuiti, dove la pubblicità non è l’unico modo x ottenere servizi gratuitamente.

Ilaria Maria Di Battista

mercoledì 25 marzo 2009

Mi pare interessante interrogarsi su quale sia il rapporto tra due sistemi differenti che si perturbano e influenzano a vicenda: i mass media (sociali e tradizionali) e il sistema economico. Riporto dunque un articolo in merito, che offre alcuni spunti di riflessione.

Oggetti gratuiti (link all'articolo di riferimento)

Il nostro senso della proprietà è curioso. Se compriamo un libro in pdf, pensiamo che quel libro ci appartenga. Se invece lo scarichiamo gratuitamente non abbiamo l'impressione che sia nostro. Possedere una copia sembra meno importante che comprarla, per questo le cose gratuite non ci fanno sentire veramente proprietari. I regali invece, che per chi li riceve sono gratuiti, aumentano il nostro senso della proprietà perché li valutiamo in base al "costo di sostituzione", cioè a quanto ci costerebbe comprarli. Se un prodotto ha un valore di mercato pari a zero non abbiamo l'impressione che ci appartenga. Quindi, più l'economia gravita intorno al concetto di gratuità, meno forte è la percezione del possesso. Condividere è un po' come affittare. Potremmo dire che la sharing economy, l'economia della condivisione che sta emergendo dai social media, è un'economia dell'affitto. Per guardare un film alla pay tv in realtà dobbiamo noleggiarlo.Non ne diventiamo proprietari ma paghiamo per prenderlo in prestito. Però non ci sembra un affitto perché non c'è uno scambio tangibile di beni come succede con l'affitto di un dvd. Ma quando la nostra videoteca ci farà scaricare i film in formato digitale sarà pur sempre un affitto.Con i prodotti digitali non diciamo "affitto" perché associamo questa parola agli oggetti e non ai servizi. Affittiamo uno smoking, non un servizio internet. Ma affittare significa condividere il costo della proprietà con un gruppo. La proprietà legale è della società che offre qualcosa a noleggio, ma la proprietà effettiva (la proprietà d'uso) è nelle mani del gruppo che paga per usare un bene o un servizio.

I media sociali permettendo la sharing economy stanno mettendo in crisi l'economia dei media tradizionali che necessitano di trovare altre possibili strade al raggiungimento dei loro profitti. Ecco il "nuovo" tentativo della TV: il televoto.

E’ il fenomeno del momento, quello che fa la differenza tra i programmi di successo e quelli che ne hanno di meno, è l'ultima frontiera della partecipazione, lo strumento della democrazia televisiva, il superamento del telecomando. Dopo anni di tentativi siamo entrati definitivamente nell'era del televoto. I numeri parlano chiaro: sabato scorso, in occasione della finale di Ballando con le stelle, il programma condotto da Milly Carlucci su RaiUno, sono arrivati oltre un milione di voti per attribuire la vittoria a Emanuele Filiberto di Savoia nella gara fra ballerini […]. Per una lettura integrale del precedente articolo di La Repubblica fare riferimento al seguente link

Sebbene alcuni parlino del tentativo di favorire una maggiore partecipazione dell'audience al media tradizionale, in realtà quest'aurea di democraticità nasconde il tentativo di raggiungere profitti necessari al sostentamento dei canali televisivi. Quindi non facciamoci abbagliare dai falsi valori ostentati, ma cerchiamo sempre di individuare cosa c’è alla radice dei fenomeni che analizziamo!!!



Infine sempre in merito a questo tema mi sembrano interessanti alcune considerazioni dell'articolo di E. Berselli, Democrazia elettronica, un falso mito

Ilaria Maria Di Battista



lunedì 23 marzo 2009

Intervista a Luca Valente

Riportiamo in versione integrale l'intervista rilasciata da Luca Valente.

1)Quanto tempo fa hai deciso di aprire un blog e di occuparti di questi temi?

Mediterranei ha quasi un anno ma la mia passione per internet e la comunicazione su web risale già ai tempi del mio primo Pentium. Nel privato, come negli studi o sul web, mi occupo di questi temi da tempo cercando di diffondere una “sana” cultura della rete che sappia contrapporre la competenza ai facili allarmismi che arrivano da media tradizionali o professionisti “incompetenti”.

2)Credi che la comunicazione digitale offra nuove prospettive alla futura generazione di giornalisti?

La comunicazione digitale non offre prospettive, è l’unica prospettiva possibile. Come ricorda Luca De Biase in un intervento di pochi giorni fa, il giornalismo non è la carta stampata, come si vuole far credere, e il suo destino non è legato a quello dei giornali. Internet è un supporto completo, in grado di veicolare l’informazione oltre ad offrire gli strumenti necessari per verificarne l’attendibilità e la veridicità. I lettori oggi sono più smaliziati e competenti. Leggono, confrontano, verificano le fonti in rete, discutono tra di loro, vogliono partecipare alla conversazione. La consultazione delle notizie diventa più selettiva e competente. L’informazione non può che trarne giovamento a patto che gli operatori di settore ne comprendano le potenzialità e sappiano stare al gioco.

3)Cosa pensi del fenomeno Facebook e della grande fortuna che stanno avendo i social network in genere, in questo momento?

I social network sono degli strumenti. Niente di più. La tecnologia non modifica la natura umana, semmai ne amplifica le potenzialità. Facebook ha realizzato in maniera esponenziale una necessità umana, la socialità. Se fino a ieri le possibilità comunicative erano legate alla presenza fisica, oggi possiamo conoscere nuove persone, possiamo interagire, condividere sentimenti o esperienze anche attraverso un computer. I social network online sono in fondo l’evoluzione tecnica di sistemi con cui le persone da sempre hanno cercato di mettersi in contatto o esporre la propria identità in modo più o meno filtrato, dal telefono, alle chat, ai forum.


4)Quali credi che siano i fattori principali che consentono un digital divide così forte?

L’assenza di infrastrutture è la causa principale dell’esclusione dall’accesso alla rete. La copertura del territorio dovrebbe rappresentare la condizione essenziale dalla quale partire per analizzare il problema anche da un punto di vista sociale o economico. E’ una questione di possibilità da realizzare e da garantire a chiunque. Se non si da una pallone ad un bambino non si può pretendere che possa giocare a calcio.

A cura di Corinne Cleri
NEW MEDIA AL FESTIVAL DEL GIORNALISMO

Vorrei segnalare a tutti i lettori del nostro blog che dal 1 al 5 Aprile a Perugia si terrà il Festival internazionale del giornalismo che quest'anno ha dedicato un'intera sezione ai new media e alle nuove forntiere dell informazione. Ogni giorno si confronteranno blogger, esperti di new media e giornalisti. Per saperne di più rimando al seguente link Festival e New media

domenica 22 marzo 2009

COMMENTO A: MEDIA SOCIALI O STRUMENTI DI CONTROLLO “CONDIVISI


L’articolo di Luca Valente affronta il problema della privacy legato in particolare all’utilizzo di
social networks e di widget come Social Feet. Senz’altro si tratta di una preoccupazione giustamente condivisa, ma se ci riflettiamo un attimo secondo me siamo di fronte ad una contraddizione. La forte adesione ai media sociali è infatti mossa principalmente dal bisogno/desiderio dell’esposizione del se. Nonostante l'esistenza di altre motivazioni il primo stimolo ad iscriversi ad un social network è senz'altro lui, il vecchio e sano esibizionismo.

Personalmente non trovo nulla di male in esso, anzi secondo me è anche una forte necessità del nostro tempo. Con la perdita della comunità si è infatti venuta a creare sul piano delle relazioni interpersonali una dimensione molto dispersiva.
Oggi la contingenza ci offre la possibilità di conoscere un numero pressochè infinito di persone, con le quali però manteniamo, nella maggior parte dei casi, relazioni di tipo superficiale.
Tutto ciò in contrapposizione con quanto solitamente avveniva all’interno della dimensione comunitaria, in cui il range di possibilità era limitato ai membri della comunità stessa, ma i rapporti che si venivano a creare tra questi ultimi erano inevitabilmente più stretti ed intimi. Ciò portava ad una diminuzione di quella che oggi chiamiamo privacy. Nel ventunesimo secolo di privacy ce n'è fin troppa e ciò ha influito sui rapporti umani. Forse stiamo sentendo il bisogno di ricreare una dimensione che sia più nostra, fatta di relazioni più intime. I nuovi social media possono essere una risposta a questo. E così nasce la necessità di mostrarsi, di farsi conoscere attraverso le foto o i video pubblicati su Facebook, attraverso i gruppi a cui si è deciso di partecipare, con lo scopo di farsi conoscere e di condividere il quotidiano con gli altri, qualcosa che spesso manca nella vita di tutti i giorni.
La contraddizione sta nel fatto che da una parte abbiamo chi ricerca una minore riservatezza attraverso l'iscrizione ai social networks e l'utilizo di tecnologie 2.0, dall'altra ivece, puntando il dito contro i media sociali, c'è chi porta avanti la propria crociata in nome della privacy perduta.
Secondo Luca Valente c’è una consapevolezza diversa nel nostro agire sulla rete rispetto all’agire fisico. In quest’ultimo caso infatti sembrerebbe che le scelte vengano fatte con maggiore consapevolezza grazie alla presenza di qualcosa che noi percepiamo come contesto. Su Internet invece “La scelta non si differenzia in base all’ambiente (il sito, il social network) ma viene ripetuta in maniera automatica ed indistinta, decontestualizzata e resa inconsapevole.”(Luca Valente)
Probabilmente è a causa di questa inconsapevolezza di fondo che spesso nascono situazioni imbarazzanti e problemi di riservatezza legati ad un utilizzo a volte improprio del web. La risposta più frequente a questo genere di episodi è la solita "demonizzazione"di Internet, descritto come un'incombente minaccia alla privacy.
Queste visioni apocalittiche non fanno che allontanare i già scettici e poco convinti allo sfruttamento delle opportunità che le nuove tecnologie ci offrono.
Voi cosa ne pensate? Vedete il web come un pericolo per la vostra riservatezza o piuttosto pensate sia ancora la poca consapevolezza del mezzo a provocare certi episodi spiacevoli?

D’Angeli Mara

venerdì 20 marzo 2009

FACEBOOK & CO.

Uno dei fenomeni digitali maggiormente dibattuti e conosciuti al momento è senz’altro facebook, riguardo al quale rimando all’articolo di Claudio Vaccaro “Facebook: social network o messaging 2.0? ”. In esso Vaccaro esplicita in maniera convincente quali siano i punti di forza e di debolezza di questa piattaforma sociale.
Personalmente, credo che facebook sia contemporaneamente una proiezione al futuro e un tentativo di recupero del passato. Si scorge, a mio parere, una volontà di fondo di recuperare una dimensione comunitaria alla quale affidare la propria identificazione (si pensi ai gruppi e alla condivisione di link “quelli che…”). Dimensione necessaria per una corretta formazione del sé, ma sempre più assente nella forma societaria contemporanea.
Un recupero del passato in prospettiva del futuro, però. Non si può infatti fare a meno di notare e di intuire quali siano le applicazioni odierne e quali potenzialmente saranno quelle future di facebook e dei social network in genere. Oltre che per mantenere contatti con chiunque si trovi in qualunque parte del mondo, i social media (tra cui anche Twitter o i blog) sono una fonte di informazione più diffusa, libera e democratica rispetto ai media tradizionali. Basti pensare all’importanza che hanno avuto fino ad ora nella striscia di Gaza per il passaggio di nozie sullo scontro fra Israele e Palestina (si veda il seguente link
0.2 » Il social media come fonte d’informazione a Gaza).
Ma anche restando in Italia, proprio sabato scorso un aggressore è stato identificato a Padova grazie a Facebook (vedi
l’articolo) . Facile che nasca da qui una polemica sulla difesa della privacy (non è un controsenso voler proteggere qualcosa che si è voluto condividere?).
Voi come la pensate? Vedete i social network come una minaccia o come un’opportunità?


Alba Angelucci
Sorrel analizzando l’odierno scenario in cui i media si stanno muovendo ha evidenziato un sostanziale cambiamento. I media “tradizionali” stanno perdendo sempre più terreno lasciando spazio ai nuovi modelli d’intrattenimento e d’informazione audiovisiva.
Gli esempi che testimoniano questo fatto sono numerosi: il New York Times, per risanare il suo bilancio in rosso, ha dovuto vendere il celebre grattacielo che ne ospita la redazione, il Wall Street Journal è stato costretto a licenziare il 50% dei suoi addetti e lo stesso presidente della Washington Post Company Donald Graham ha dichiarato: «Il modello economico della stampa scritta non funzione più». Ma il problema non riguarda solo i giornali, le condizioni della radio e della tv non sono migliori. Le nuove tecnologie sono di gran lunga preferite in quando rispondono meglio alle nuove attese dei consumatori.
Alcuni editori hanno tentato di trasferire pari pari le loro attività sul web, ma non ha funzionato.
Narvic analizza alcune possibili soluzioni. La prima opzione è quella di fondere i media d’informazione con le industrie culturali per creare dei grandi gruppi multimediali di infotainment. L’informazione viene sacrificata perchè costa troppo e non è più un prodotto di richiamo.
Un’altra possibile risposta al mutamento è rivoluzionare il giornalismo procedendo verso una diffusione di “nicchia” intorno ad un pubblico fidelizzato.
A questo punto una domanda sorge spontanea: senza mass media chi deciderà l’agenda pubblica? Chi fabbricherà l’attualità?
Fino ad oggi sono stati i media ad assumere questo ruolo, ma ora stanno perdendo consensi e legittimità. Si distaccano sempre più dal loro status originale per correre verso l’audience.
Economicamente indebitati cadono sotto l’influenza dei gruppi di pressione e degli interessi particolari.
È una tendenza suicida questa, ma, ormai, sono in trappola, non hanno via d’uscita. Il futuro incombe e chi non innova è perduto!


Corinne Cleri

mercoledì 18 marzo 2009

INTERVISTA A CLAUDIO VACCARO

Riportiamo in versione integrale l’intervista che ci ha rilasciato l’esperto di comunicazione digitale Claudio Vaccaro.

Da molti anni ti occupi di internet e comunicazione digitale. Qual è stata la spinta che ti ha portato verso questo argomento? Pura curiosità o intuizione?

ll mondo digitale mi ha affascinato già da piccolo "tech-fan", sin dai tempi del Commodore 64 :) Poi quando Internet si è affermato come new media è stato amore a prima vista. Essendo un amante della comunicazione in tutti i suoi aspetti è stato naturale esplorarne gli ambiti digitali, che consentivano molta più libertà e molta più immediatezza. Mi sono sempre approcciato alla comunicazione come un artigiano che impara da solo e con l'esempio di altri: non c'è nessuna scuola che può insegnarti a fondo cos'è, a cosa serve e come si comunica su Internet. L'intuizione forse è stata questa: inventarsi una strada da soli, cosa che in altri ambiti non ti viene consentito.

Quali sono i cambiamenti che in questo periodo hai notato nel campo della comunicazione e le conseguenze che questi hanno avuto sull’informazione?

La domanda giusta da porsi oggi è: CHI FA informazione? La fanno ancora i giornalisti della carta stampata? O gli inviati speciali del Tiggì? Hanno dimostrato un equilibrio e un'indipendenza tale da giustificare la loro aurea di autorevolezza? Non credo. Sono "sul pezzo" e i primi a dare le notizie, prima degli altri? Non credo nemmeno. Un blogger dotato di telefonino UMTS in un teatro di guerra oggi può dare informazioni al mondo con la stessa rapidità di un giornalista della TV. La differenza sta solo nell'audience. Internet e i Social Media come sappiamo hanno da un lato disintermediato, dall'altro annullato i costi di produzione e distribuzione di contenuti e di merci. Di conseguenza da un lato viene stravolto il Mercato, dall'altro cambia il modo di informarsi e di fare informazione. TUTTI oggi possono fare informazione, con maggiori o minori capacità di condizionamento a seconda della qualità del contenuto che condividono e del loro livello di credibilità (che oggi fa rima con rilevanza di Google...passami la battuta). A fronte di questa situazione, i mass media e l'Informazione (quella con la I maiuscola) hanno due tipi di reazione: la prima è quella di screditare chi non ha (a detta loro) le carte in regola per fare informazione. La seconda è quella di sfruttare a loro vantaggio il potere che danno le nuove tecnologie e gli utenti della rete: quanti contenuti e news di giornali importanti ormai provengono da quel bacino gigantesco di opinioni e tendenze che è Internet?Per quanto sembri banale, siamo su una fase di passaggio. Nonostante il titolo provocatorio del mio articolo, giusto per far capire che mi smentisco volentieri, i Mass Media non sono morti, è morto il concetto. Probabilmente assisteremo (già si inizia a vedere qualcosa con la TV digitale e satellitare) a una loro graduale evoluzione che li porterà a ibridarsi sempre di più con la Rete e i contenuti che può fare emergere (Current TV ne è un esempio). Non ci dimentichiamo comunque che sono ancora i grandi gruppi editoriali planetari che si comprano la loro presenza in rete, e non viceversa.

Quali evoluzioni credi potranno avere le nuove tecnologie nell’ambito della comunicazione e che impatto prevedi avranno sui media tradizionali?

Parzialmente ho risposto nella domanda precedente, però se parliamo di fruizione di un contenuto comunicato, qui ho dei dubbi.
Nel senso che sicuramente il mobile mi consentirà di avere internet ovunque, tutto sarà connesso e tutto sarà fruibile ovunque io vada.
Ciò non toglie (e qui certe "profezie" mi fanno un po' sorridere) che io comunque vorrò godermi un bel film sul mio 45 pollici spaparanzato sul divano di casa e non in streaming su un telefonino in metrò. In questo le tecnologie non cambiano i bisogni, devono darti solo possibilità in più.
Secondo me c'è ancora molto da esplorare su device e interfacce: telefoni che consentono di fruire di contenuti superando il limite delle loro dimensioni (I-Phone è un esempio), TV che consentono agilmente di saltare da un media all'altro senza difficoltà (in questo campo il tentativo di Microsoft è per ora un flop). Parliamo da anni di Tv on demand, internet, radio e PC tutto su un unico device ma io ancora non ne ho visto uno semplice e a buon mercato. Quando ci sarà vera integrazione (fixed e mobile) nasceranno nuove opportunità sia di business sia per gli utenti.

Alcune correnti di pensiero vedono i social media come qualcosa di pericoloso e di ingestibile. Qual è la tua opinione al riguardo?

Certo che sono pericolosi e ingestibili i Social Media. Lo sono per chi ha paura di perdere il controllo sulle nostre scelte di consumo e quindi di non essere più perfetti e stupidi consumatori da Mass Media. I Social Media generano persone più informate e quindi, consumatori più consapevoli. L'esatto contrario di quello che certe aziende e certo establishment vorrebbe. Altre aziende e altri poteri che invece colgono il valore di questa rivoluzione si stanno a loro volta rivoluzionando e saranno gli unici capaci di stare in un mercato che gli sta cambiando sotto ai piedi.

A cura di Alba Angelucci
COMMENTO ALL'ARTICOLO PERCHE' IL GIORNALISMO NON E' PIU' ATTUALE

L’ancora di salvezza dei media tradizionali: l’omologazione o la differenziazione?

Un’analisi dei media tradizionali, oggi, consente di prendere coscienza di come l’autorità e l’affidabilità di questi ultimi venga messa continuamente a repentaglio dalla proliferazione delle fonti informative che oggi i media in generale mettono a disposizione. Tale fenomeno è inoltre la causa stessa della crisi economica che sta caratterizzando, sempre più in misura maggiore, il settore dell’informazione, ed in particolare il giornalismo. Molti sostengono che in questa fase sia necessario puntare alla qualità dei contenuti diffusi; poiché questa rimane l'unico possibile salvagente per i media tradizionali.
Su un altro fronte alcuni sostengono che l'unica via d'uscita alla prossima morte dei mass media sia il tentativo di omologarsi ai moderni social network. Ma dunque è necessaria l'omologazione o la differenziazione dai nuovi media di successo? Penso che non necessariamente si tratti di caratteri esclusivi, infatti, la ripresa dei mass media, se avverrà, considero che verrà consentita proprio dalla convergenza di entrambi i fattori, nell’ottica di un miglioramento della qualità del servizio offerto al proprio pubblico di riferimento.
Ilaria Maria Di Battista
COMMENTO ALL'ARTICOLO: Quale sarà il futuro dei social media?

La strada verso una globalizzazione delle comunicazioni ed un effettivo abbattimento delle frontiere mondiali attraverso la rete è ancora piuttosto tortuosa.
Io credo che i principali ostacoli non siano però legati a limiti di natura tecnologica.
Internet ha conosciuto una rapida diffusione nel nuovo millennio grazie a una diminuzione dei costi e ad una semplificazione delle applicazioni. Il fenomeno non ha interessato soltanto i giovani, anzi le statistiche affermano che il 63% degli utenti appartiene alla fascia d’età che va dai 25 ai 54 anni. Nonostante ciò il Web fatica ancora a conquistarsi a pieni diritti il suo pezzo di spazio nelle nostre vite quotidiane, rimanendo talvolta qualcosa di un po’ estraneo, una sorta di extraterrestre di cui poco si conosce.
E così, come ricorda Nick O’ Neill, non è un caso che la maggior parte degli utenti di Internet non siano produttori di contenuto. Leggendo i commenti all’articolo per esempio scopriamo che solo l’1% degli iscritti a Wikipedia ne produce effettivamente i contenuti.
Cosa vuol dire tutto ciò? Le tecnologie e le possibilità le abbiamo. Oggi ognuno può farsi conoscere, esprimere i propri pensieri e le proprie idee attraverso questa macchina di comunicazione potentissima chiamata Internet. Allora perché delle cifre percentuali così basse? Non sarà forse, come scritto nell’articolo, che non tutti sono intenzionati e felici di farlo?
Capiamo così che probabilmente i principali ostacoli che s’incontrano sono soprattutto dovuti alla difficoltà ad accettare che con Internet si stravolgano un po’ le regole.
Fondamentalmente tutti possono fare tutto. Dall’improvvisarsi giornalisti al tenere un diario in rete, dal giocare a Wordwarcraft con un avvocato di Sidney al partecipare ad una serata di discoteca su Second Life.
Come in tutte le innovazioni che si rispettino è naturale che non tutti siano pronti ad accettarne le conseguenze e ancor più naturale è l’instaurarsi di un forte dibattito su quello che sarà il futuro. Mi sento di appoggiare in parte l’opinione di O’Neil in quanto sono anch’io convinta che ci vorrà del tempo, senz’altro diversi anni perché si crei un numero considerevole di utenti Internet attivi e realmente consapevoli delle potenzialità del mezzo. Ma credo fortemente che arriverà un momento, come sostiene Fred Wilson in cui tutti posteranno le proprie idee e le proprie esperienze sulla rete traendo reciproco vantaggio dallo scambio d’informazioni e soprattutto che i social networks verranno sempre più utilizzati a scopi lavorativi e didattici. Questo ovviamente anche grazie un’adeguata informazione di quel che è il web 2.0 e le sue possibilità di utilizzo.

Mara D'Angeli

martedì 17 marzo 2009

COMMENTO A 124 AMICI SOCIAL NETWORKING, Repubblica 14 marzo

Per commentare l’articolo di Repubblica partirei dalle funzioni del web individuate da Giuliano Di Caro: distribuire contenuti e creare gruppi. Se si confrontano tali obiettivi con quelli dei tradizionali mass media si osserva che la componente distintiva sta nell’accentuazione della dimensione relazionale: non si parla più di pubblico di massa passivo, ma di gruppi interattivi. Non vi sembra un paradosso? La componente relazionale tipica della dimensione umana si è installata nel macchinino. Ma è dunque possibile la realizzazione dell’empatia sulla rete?
Questa domanda apre ampi dibattiti: c’è chi afferma che è assolutamente possibile, c’è chi sostiene invece la sua totale impossibilità; ma tali risposte non appartengono necessariamente a generazioni differenti, poiché l’età non è il fattore discriminante nell’accesso ai social network nonostante non si possa ammettere che la strada verso la digitalizzazione sia stata resa meno inaccessibile ai nativi del digitale. Forse la Verità, come al solito, non sta né da una parte, né dall’altra, ma in una problematizzazione della questione.
Cosa dire dunque delle amicizie su Facebook? Anche qui i fronti sono molteplici anche se riassumibili nelle 2 posizioni radicali: c’è chi dice che in rete possano nascere amicizie profonde più di quanto non lo si possa fare nella realtà, in cui spesso amici reali si rivelano nel tempo dei veri e propri avatar; c’è chi invece afferma: “per creare un’amicizia ci vuole più impegno”. Voi cosa ne pensate?
Io, personalmente, penso che ci si debba adattare ai cambiamenti, ai nuovi strumenti che l’evoluzione ci fornisce per realizzare al meglio i nostri obiettivi. Nell’era della contingenza, del tutto possibile altrimenti, le strade che possiamo percorrere sono infinite… la difficoltà sta forse proprio nella scelta, nella selezione di quella che vogliamo percorrere.
Ilaria Maria Di Battista

COMMENTO AGLI ARTICOLI GIORNALISMO,IL FUTURO NEI MEDIA SOCIALI & GIORNALISMO TRADIZIONALE E SOCIAL NETWORK

L’articolo ha come scopo sottolineare la differenza sostanziale tra mass media e social network che è la radice dell’odierna crisi dei primi e dell’evoluzione dei secondi. Esso pone l’attenzione dunque sulla distinzione tra INFORMAZIONE e COMUNICAZIONE, termini tecnici con cui vengono rispettivamente designati gli obiettivi dei media tradizionali e dei nuovi social network.

Per comprendere chiaramente quanto sostenuto dal blogger si deve tenere in considerazione che con il vocabolo informazione si è soliti indicare un processo unidirezionale, gerarchico che prevede la figura dell’emittente in una posizione di supremazia (one-up) rispetto a quella del ricevente passivo (one-down), e che si è soliti far coincidere con il paradigma sintattico (tecnico) della comunicazione rappresentato dalla teoria dell’informazione di Shannon e Weaver.

Al contrario con il lemma comunicazione ci si riferisce a un processo bidirezionale, di interazione che fonde i tre paradigmi comunicativi: sintattico (tecnico), semantico (relativo alla comprensione) e pragmatico (relativo alla costruzione di una relazione tra gli interlocutori), e prevede una mutua-perturbazione tra gli interlocutori, resa possibile dal feedback (retro-azione) che ciascuno riceve e rielabora in funzione di una nuova comunicazione.

Dunque ancora una volta si sottolinea come la componente distintiva dei social network sia la dimensione relazionale, e in particolare l’interattività che diventa dunque la possibile ancora di salvataggio dei mass media tradizionali e di conseguenza la sopravvivenza di tutte le categorie professionali ad essi collegate. Si tratta di vedere l’interattività con il proprio pubblico di riferimento come una risorsa e non un pericolo, così come fanno spesso i media dell’informazione e in particolare il giornalismo. Ciò è quanto è emerso dalla tavola rotonda sull’informazione 2.0 i cui contenuti principali sono stati sinteticamente illustrati da Daniele Di Gregorio nell’articolo Informazione 2.0: Come Il Giornalismo Tradizionale Vive Lo Stravolgimento Causato Dai Social Media.

Ma a questo punto sorge spontanea la domanda: in che modo i media tradizionali possono privilegiare l’interattività con il proprio pubblico? A voi le possibili proposte!

Ilaria Maria Di Battista